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RIFLESSIONI SPAGNOLE SULLA ROCCA DI ARONA

di Silvia Garbini*

 

Dal XVI al XVIII secolo lo Stato di Milano, all’interno del quale rientrava Arona, fu dominato dagli spagnoli. Questi possedevano già vasti territori in Europa ed oltreoceano, un vero e proprio impero territoriale al quale fu aggregato lo Stato milanese: la sua posizione geografica strategica, la fertilità agricola e la raffinatezza di alcuni centri culturali non potevano passare inosservati e nel 1535, anno della morte dell’ultimo duca Sforza Francesco II, gli spagnoli si insediarono con prontezza in questo nuovo dominio.

Arona si trovava nelle vicinanze del confine occidentale di questo territorio, quel confine che più volte i nemici cercarono di oltrepassare, primi fra tutti i francesi. In un documento inviato al re spagnolo Filippo II nel 1555 si legge infatti che: “la terra e rocca di Arona … si trovano sul lago Maggiore, frontiera e ultima terra importante… E’ così importante sia per la sicurezza che per l’utilità di questo Stato, che se per disgrazia i francesi, come già altre volte hanno provato, o gli svizzeri se ne impadronissero sarebbero signori di tutto ciò che si trova fino alla porta di Milano”. L’invasione nemica avrebbe comportato la perdita del primo tratto delle vie di comunicazione verso le Fiandre e la Germania, destinazioni rilevanti per i commerci. Allo stesso tempo le vie fluviali non sarebbero state più disponibili. La preoccupazione era aggravata ancor più dalla consapevolezza che, come il documento suddetto riporta: “una volta che il nemico si è inserito in questa terra sarebbe difficile mandarlo via”.

Il passare degli anni non fece che confermare questa situazione di allerta e di timore per nuovi attacchi. I domini spagnoli si stabilizzarono per alcuni anni ma solo in apparenza, poiché Francia e Svizzera perseveravano nelle loro mire espansionistiche.

Nel 1602 una relazione sulle fortezze dello Stato di Milano fu inviata al governatore Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes. In questo documento si ribadì l’importanza della Rocca di Arona, il cui ruolo difensivo era valorizzato dalla vicinanza di quella di Angera. Nel documento si legge che le due rocche, fronteggiandosi sulle rive del lago Maggiore: “in tempi di guerra…sarebbero di grande importanza perché sono come due guardie del lago”. Di quest’ultimo esse assicuravano la navigabilità,  così come anche quella del Ticino, entrambi utili per Milano. Le due terre si sarebbero dovute presidiare per impedire la discesa degli svizzeri; inoltre: “Angera” – si legge ancora – “può corrispondere a Como e darsi la mano non essendo lontana più di venti miglia e Arona a Novara, quasi alla stessa distanza”.

Sulla base di questo clima di preoccupazioni la Rocca aronese, già in quei secoli proprietà della famiglia Borromeo, divenne oggetto di un lungo piano di lavori per migliorarne la struttura architettonica. Gli interventi furono di vario genere, dalle semplici riparazioni necessarie alla vita quotidiana a migliorie di più vaste dimensioni.

Nomi rinomati dell’ingegneria militare del tempo furono chiamati a dare il loro contributo: Giovanni Maria Olgiati, Gaspare Balduino, Francesco Prestino e Gaspare Beretta si succedettero, nel corso di questi due secoli, osservando, disegnando e comunicando ciò che ritenevano più opportuno per migliorare la Rocca. Molti dei loro documenti, giunti fino a nostri giorni grazie alla raccolta e conservazione negli archivi, forniscono tutt’ora testimonianza del loro operato.

Ciò che rimane oggi della Rocca di Arona, in attesa che venga riaperta al pubblico, è il prezioso ricordo di secoli di storia, di vicende politiche, di personaggi indelebili nella memoria dei posteri.

 

*Autrice de “La Rocca di Arona durante la dominazione spagnola (1525 – 1707)

Compagnia della Rocca Edizioni, 2007.

 

 

 

 

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